“In tema di leasing, in caso di scioglimento del contratto ad opera del curatore fallimentare, il concedente, per i crediti scaduti, insinuandosi al passivo in sede di verifica dei crediti, può soddisfarsi in sede fallimentare, in quanto il credito è sorto anteriormente al concorso e detti crediti andranno pacificamente ammessi, alla data di dichiarazione di fallimento. Per i canoni a scadere, invece, il creditore ha soltanto diritto alla restituzione del bene, oltre al diritto eventuale […] di insinuarsi nello stato passivo, in via tardiva, per la differenza fra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato, o meglio la minore somma ricavata rispetto a detto credito dalla nuova allocazione del bene “(Cass. Ord. N. 21213/2017).

[massima non ufficiale]

1.1 Fatti di causa

Con l’ordinanza in questione la Suprema Corte ha ribadito l’orientamento, ormai costante in giurisprudenza, in ordine alle modalità processuali con le quali può essere fatto valere il credito vantato dal concedente il contratto di leasing, qualora il curatore fallimentare opti per il suo scioglimento .

La vicenda trae origine dal decreto di rigetto all’opposizione ex art. 98 L.F., con il quale il Tribunale di primo grado, confermando quanto già statuito dal Giudice Delegato, accoglieva la rivendica del concedente, ammettendo al passivo i soli interessi sui canoni scaduti in via chirografaria; al contrario,  dichiarava inammissibile la domanda di ammissione al passivo per la quota capitale dei canoni a scadere.

Il Tribunale  fondava la sua decisione rinvenendo nell’art. 72-quater una disciplina speciale dello scioglimento dei contratti di leasing, prevalente su quella generale contenuta nell’art. 72 L.F..

1.2. Le motivazioni in diritto

A seguito della novella della Legge Fallimentare, l’art. 72 L.F. prevede, quale regola per i rapporti pendenti, l’automatica sospensione dell’esecuzione del contratto fino a che il curatore fallimentare non decida se subentrare nel rapporto contrattuale o scioglierlo.

Nessun vincolo temporale è assegnato al curatore per l’assunzione di tale decisione, salva la fissazione da parte del giudice delegato, su richiesta del contraente in bonis[1], di un termine non superiore a sessanta giorni.

Da ultimo, il quarto comma dell’art. 72 L.F. statuisce che, quale conseguenza dello scioglimento del contratto, il contraente non fallito abbia diritto di “far valere nel passivo il credito conseguente al mancato adempimento“.

Pertanto, in ossequio alla regola generale stabilita dall’art. 72, comma I° L.F., quello di leasing rientrerebbe nel novero dei contratti pendenti al momento della dichiarazione di fallimento e che restano sospesi

Nel caso in cui,  il curatore decida per lo scioglimento del vincolo, la determinazione del credito del concedente andrebbe effettuata sulla scorta di quanto statuito dall’art. 72 quater, commi II e III L.F.

In considerazione delle caratteristiche del leasing, che è contratto di durata ma, nel contempo, anche strumento di attribuzione del bene oggetto del godimento, la disciplina dell’art. 72-quater è volta necessariamente a regolare sia la liquidazione del rapporto contrattuale nella sua durata (con riguardo allo scioglimento od alla continuazione del rapporto), sia le modalità di restituzione o di attribuzione dei beni e, conseguentemente, la distribuzione dei relativi oneri tra le parti.

Ebbene, lo scioglimento del contratto di leasing comporterebbe la necessità di valutare la sorte non solo del bene oggetto della locazione finanziaria, ma anche dei corrispettivi pagati dall’utilizzatore poi fallito.

Invero, la norma non è chiara rispetto al momento in cui il creditore è legittimato ad insinuarsi al passivo per il credito a scadere: prima o successivamente alla collocazione del bene?

Sul punto la Suprema Corte ha precisato che il credito vantato dal concedente in sede fallimentare consta di una somma certa e determinata già alla data della dichiarazione di fallimento nonchè di una ulteriore componente variabile, dipendente dalla reazione del mercato alla nuova allocazione del bene.

La procedura di realizzazione del valore del bene (originariamente concesso in leasing e restituito al concedente), dunque, più che alla distribuzione del ricavato ai creditori, è diretta ad ottenere un raffronto  tra il credito residuo del concedente e quello del bene stesso.

In conclusione, per la prima parte del credito il concedente sarà legittimato ad insinuarsi al passivo in via ordinaria; al contrario, per la differenza fra “il credito vantato alla data di fallimento e quanto ricavato, o meglio la minor somma ricavata rispetto a detto credito dalla nuova allocazione del bene” e solo in via dovrà necessariamente ricorrere all’insinuazione tardiva.

A cura di: Dott. Jacopo Rencricca