Massima non ufficiale: “Dalla natura costitutiva della sentenza che accoglie la domanda revocatoria consegue che, poiché gli effetti tipici della stessa sono quelli della creazione di una situazione giuridica nuova, l’inammissibilità dell’azione de qua appare saldamente fondata sulla regola della cristallizzazione della massa passiva alla data del fallimento sicchè deve essere corretta la motivazione contenuta nella sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4, laddove fonda tale sanzione processuale sulla natura di azione esecutiva della revocatoria.” (Cass. Sez. Unite 23/11/2018 n. 30416)

La vexata questio esaminata dalla Suprema Corte nella Sentenza in questione concerne l’ammissibilità  dell’azione revocatoria da parte di una procedura fallimentare nei confronti di un’altra.

I fatti di causa:

Il fallimento della società X ha esperito nei confronti del fallimento della società Y azione revocatoria avente ad oggetto una cessione di azienda, realizzata dalla società X in favore della società Y a fronte di un corrispettivo irrisorio.

Il giudice di prime cure ha giudicato ammissibile tale azione e, ritenendo sussistenti tutti gli elementi previsti dall’art. 2901 c.c., ha accolto la domanda revocatoria proposta dalla curatela del fallimento X.

La sentenza di primo grado è stata impugnata dal curatore della procedura concorsuale della società Y e riformata dalla Corte d’Appello, la quale ha considerato meritevole di accoglimento l’eccezione d’inammissibilità dell’esercizio dell’azione revocatoria, nei confronti di un fallimento già dichiarato al momento della trascrizione della domanda giudiziale.

Il fallimento della società X, mediante ricorso per Cassazione, ha impugnato la pronuncia della Corte territoriale per due motivi:

  • Violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., in quanto l’eccezione avversaria d’inammissibilità dell’azione revocatoria è tardiva, poiché formulata solo in appello.
  • Violazione e falsa applicazione dell’art. 51 l.f., in quanto l’azione revocatoria, avendo natura dichiarativa, non può essere sottoposta alla stessa disciplina disposta dall’art. 51 l.f. per le azioni esecutive e cautelari.

Le Sezioni Unite, dopo un breve excursus sugli orientamenti della giurisprudenza di legittimità in merito alla questione esaminata, hanno riconosciuto la natura costitutiva sia dell’azione revocatoria fallimentare, sia di quella ordinaria: entrambe, infatti, a prescindere dai diversi presupposti che le caratterizzano, rendono inefficace nei confronti di colui che le esercita un atto che prima della pronuncia dell’autorità giudiziaria era valido e produttivo di effetti, dando vita – in tal modo – ad una situazione giuridica nuova, alla stregua di tutte le altre azioni costitutive previste dal nostro sistema giurisdizionale (es. azione ex art. 2932 c.c.).

Da quanto precede, discende che tali azioni non possono essere esercitate da un fallimento nei confronti di un altro, successivamente all’ emissione della sentenza dichiarativa ex art. 16 l.f., stante il principio di congelamento della massa passiva, per il quale possono essere ammessi al passivo solo i crediti accertati mediante un titolo o attraverso le scritture contabili al momento dell’apertura della procedura concorsuale.

L’azione revocatoria quale categoria generale, dunque, non integra un vero e proprio diritto di credito esistente prima dell’accertamento del giudice e del fallimento del debitore, ma consiste in un diritto potestativo del creditore a rendere inefficace nei propri confronti un atto posto in essere dal debitore in suo pregiudizio, mediante una pronuncia dell’autorità giudiziaria.

La Corte di Cassazione riunita in Sezioni Unite, pertanto, ha respinto il ricorso proposto dal fallimento della società X, fondando la sua decisione sulla natura costitutiva dall’azione revocatoria e correggendo la motivazione della Corte d’Appello la quale, invece, aveva riconosciuto all’ azione revocatoria natura di azione esecutiva e aveva considerato applicabile l’art. 51 l.f., secondo cui non può essere promossa né proseguita alcuna azione autonoma esecutiva o cautelare, qualora venga dichiarato il fallimento del debitore.

Unica deroga è ammessa dalla Suprema Corte solo qualora il giudizio della revocatoria sia stato trascritto in epoca antecedente alla dichiarazione del fallimento, poiché le lungaggini processuali non possono tradursi in un pregiudizio per colui che abbia promosso l’azione ex art. 2901 c.c.

In conclusione, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, qualora sia già stato dichiarato il fallimento di un debitore non può essere esercitata nei confronti della procedura alcuna azione ai sensi degli artt. 2901 c.c. e 66 l.f.: il diritto del creditore, che abbia vista accolta la propria azione revocatoria, si costituirebbe successivamente alla dichiarazione di fallimento, in spregio al principio della cristallizzazione della massa passiva al momento dell’apertura dello stesso.

A cura di: Dott.ssa Ilenia Febbi